Calo nascite e Costituzione

Demografia compromessa

Negli ultimi centodue anni l’Italia non e’ mai diminuita come nel duemiladiciannove, dal punto di vista delle nascite, con il meridione che e’ in calo irreversibile di abitanti; cosi’ quest’anno ci sono piu’ di duecentomila italiani in meno e, rispetto ai sessanta milioni di abitanti complessivi di qualche anno addietro, l’Italia conta cinquantanove milioni solo per mezzo degli immigrati che ne apportano quattro al Belpaese. Questa tendenza vergognosa si inverte con l’innesto di adeguate infrastrutture statali sul mezzogiorno e centro come Molise e Basilicata, che siano all’altezza dei migliori centri urbani italiani, specialmente del settentrione.

Non si tratta di installare arterie stradali che colleghino efficacemente ogni centimetro di terra, che siano larghe se si tratta di autostrade anziche’ ridicolmente strette come la Salerno-Reggio Calabria; ma e’ teleologico alla ripresa demografica anche attrezzare i borghi ed i piccoli centri di una retrostruttura metropolitana che ne valorizzi l’antichita’ con un piede ben piantato nella postmodernita’; cosicche’ poli culturali con innumerevoli strutture museali, piattaforme cinematografiche, stadi e teatri avveniristici propedeutici ad eventi parasportuvi rilancerebbero le province in modo mirabile. Infine i collegamenti ferroviari di ultima generazione in un connubio con le strutture ricettive per lattanti, giovani, pensionati, adolescenti ed anziani enfatizzerebbero in modo preponderante il concetto di comunita’ e l’attrattivita’ del meridione.

Senza eludere dal proposito di ammodernamento e sviluppo italiano del meridione neanche l’innesto di porti, banche pubbliche, aziende ed aereoporti, lo sviluppo demografico non avrebbe eguali al mondo: ma chi lo pagherebbe? Non certo i privati per intero bensi’ lo stato rendendo la costituzione italiana scevra di due codici che l’hanno invalidata, ossia il pareggio di bilancio ed il divieto di fare deficit maggiori del 3%.




Il ruolo centrale di Napoli

Omaggio all amico di Napoli

“Napoli era l’unico regno funzionante nel Mediterraneo”, disse. Ed in un’intervista del 2014 sottolineò: “Napoli è una città troppo poderosa rispetto al compito che oggi non le si chiede di svolgere”, una “ex capitale di un impero dissolto” che “non si comprende più quale ruolo dovrebbe svolgere”. “La perdita di identità risale all’unità d’Italia. A Napoli è stata affibbiata una mutazione di funzione e destino di cui non si è mai compresa la connotazione: da ex capitale, che cosa è diventata? Non si sa. E quel che è peggio: non se ne discute. Di Napoli e del Sud non importa niente a nessuno”.

Ciao Philippe




Il lievito migliore al mondo

IL CREMOR TARTARO O CRISTALLO DI SANT’ANTIMO
Il Cremor Tartaro è un agente lievitante naturale, usato in pasticceria dalle nostre nonne che, molto in voga fino agli anni 50 del ‘900, cadde in disuso a seguito dell’invenzione del lievito chimico creato in laboratorio (tipo PaneAngeli) ma che oggi è stato riscoperto grazie alla diffusione della cucina green e vegana.
L’industria più fiorente per la produzione del Cremore di Tartaro si trovava a Sant’Antimo, un piccolo paesino in provincia di Napoli e la storia di questo derivato dalla fermentazione del vino è strettamente legata a quella della dinastia dei Borbone. Nel 1781, Ferdinando IV concesse una “privativa” per la creazione della prima fabbrica di Cremore di Tartaro nel Regno di Napoli. Nel 1850, l’esportazione di tale prodotto rappresentava una voce importante nell’economia del Regno delle Due Sicilie. Secondo alcune testimonianze storiche, a Sant’Antimo, il commercio del Cremor Tartaro esisteva già nel 1615. Dalla lettura dei documenti contenuti nel Catasto Onciario del Regno che riportava tutte le attività commerciali, apprendiamo che la produzione del Cremor Tartaro rappresentava un’attività moto diffusa fra la popolazione di Sant’Antimo già dalla metà del ‘700 e che era rivolta sia verso il mercato interno che verso quello estero.
Ben presto, Sant’Antimo divenne un polo chimico di prima importanza e non c’era famiglia che non fosse coinvolta nella produzione del lievito, al punto che il Cremor Tartaro, in quegli anni, era anche chiamato “Cristallo di Sant’Antimo”. Dopo l’unità d’Italia che danneggiò tutte le nostre attività imprenditoriali, a seguito della concorrenza della grande industria americana che introdusse nella produzione i metodi industriali a ciclo continuo e infine con la diffusione del lievito chimico da laboratorio, l’industria del Cremor Tartaro entrò in crisi, fino a scomparire quasi del tutto.
Oggi, tuttavia, il lievito è tornato di moda perché è del tutto naturale, non contiene additivi e conservanti e non è un prodotto creato in laboratorio. E’ facile trovarlo anche nei supermercati e viene ancora prodotto a Napoli. Addizionato a un cucchiaino di bicarbonato, reagisce con l’impasto e produce CO2 che, in cottura dona al dolce struttura e sofficità, oltre che grande digeribilità.
Dati storici tratti dal sito della proloco di Sant’Antimo




Ue Sud Pino Aprile e fondi deviati

Milano indicata come sede del Tribunale per i brevetti, Torino per l’Istituto dell’intelligenza articiale. Il Sud ancora ignorato. Per bilanciare, si scelga l’università di Cosenza, in rete con altre del Mezzogiorno, per l’Istituto di Tecnologia Blockchain “Pitagora”. E se il governo italiano non rispetterà i criteri europei di ripartizione del Ricovery Fund (70 per cento al Sud), faremo ricorso all’UE, chiedendo di bloccare i fondi o istituire un Commissario che ne garantisca l’uso corretto e impedisca che siano deviati al Nord, come altri.

Al Mezzogiorno d’Italia non resta che appellarsi all’Europa Unita contro il governo italiano: ignorando, come al solito, il Sud, Milano è stata appena proposta quale sede del Tribunale unico dei brevetti e Torino per l’Istituto italiano per l’intelligenza artificiale; allo stesso tempo, i progetti di spesa del Recovery Fund non tengono conto dei criteri di ripartizione delle risorse dettati dall’Unione Europea (proporzionale alla popolazione, alla disoccupazione media negli ultimi cinque anni, e inversamente proporzionale al reddito pro-capite), mentre una ministra, Paola De Micheli, parla di 40 per cento dei fondi RF al Sud e fa in modo che il Ponte sullo Stretto di Messina sia escluso dal piano e il segretario del Pd, partito di governo, Nicola Zingaretti, abbassa al 34 per cento la quota di investimenti nel Mezzogiorno, riferendola alla sola percentuale della popolazione.

Al contrario, come si evince dallo studio della Commissione Economia e Sviluppo del Movimento per l’Equità Territoriale, tenendo conto dei tre criteri, la quota di RF che spetta al Sud è il 70 per cento, circa 145 miliardi su 209. Per l’interconnessione economica, poi, il 41 per cento degli investimenti nel Mezzogiorno torna al Nord, per l’acquisto di beni e servizi, quindi, di quel 70 per cento nominale, al Sud resterebbe, effettivo, il 43; per la stessa ragione, il 40 per cento nominale proclamato dalla ministra De Micheli si riduce al 27 effettivo, e il 34 di Zingaretti a poco più del 22: in entrambi i casi, molto al disotto persino della percentuale della popolazione.

Giova ricordare agli immemori per professione del governo (e i precedenti non erano diversi), che il vice Commissario europeo Frans Timmermans ha appena detto, riferendosi all’Italia, che “i piani nazionali per il Recovery Fund devono riflettere gli orientamenti europei per i quali sono stati definiti”: ridurre le disuguaglianze, non accrescerle. E i Commissari Elisa Ferreira e Nicolas Schmit hanno sottolineato nella loro lettera al governo italiano l’importanza di spendere i nuovi fondi per la coesione. Il governo, De Micheli, Zingaretti e soci non possono fare come pare a loro.

Contro la mancata applicazione dei criteri europei, i promotori di questo appello ricorreranno preventivamente ai Commissari europei competenti, la portoghese Elisa Ferreira (il cui direttore Marc Lemaître per ben due volte ha rimproverato l’Italia perché non investe a Sud, facendone la più ampia area del continente senza infrastrutture e servizi di livello europeo), il lussemburghese Nicolas Schmit e Paolo Gentiloni; e, ovviamente, alla presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula Von Der Leyen, cui già abbiamo inviato una lettera sulle discriminazioni delle autorità nazionali a danno del Sud, missiva che Von Der Leyen ci ha fatto sapere di aver apprezzato e “girato”, per competenza, alla struttura diretta da Marc Lemaître .

Ci rivolgeremo anche, denunciando il mancato rispetto dei criteri della UE sul RF, al presidente del Consiglio dell’Unione Europea, il belga Charles Michel, che dovrà analizzare, avendo l’ultima parola, i progetti di impiego dei RF proposti dal governo italiano.

Vigileremo che i criteri di valutazione del piano di riforma nazionale, soprattutto quello riguardante la coesione, siano correttamente applicati. Nel caso i progetti e le riforme non fossero equi e aderenti alle indicazioni europee e le risorse del RF deviate in proporzione scorretta al Nord (dove già vengono dirottati oltre 60 miliardi all’anno di fondi pubblici destinati al Sud), faremo ricorso all’Ombusdman, l’Autorità europea guidata dall’irlandese Emily O’ Reilly per i conflitti fra i cittadini e le istituzioni, e al Tribunale europeo per i diritti umani, cui chiederemo se quelli dei cittadini del Sud Italia non siano brutalmente calpestati.

Se questo non fosse sufficiente a ottenere equità e correttezza, chiederemo all’Unione Europea di non approvare il piano di riforma nazionale italiano e di non inviare all’Italia i fondi del RF, perché verrebbero usati per aumentare le disuguaglianze a danno del Mezzogiorno, come da un secolo e mezzo, non per sanarle; in alternativa, chiederemo di istituire una sorta di Commissariato europeo per impedire che il governo tradisca le indicazione della UE.

Che l’orientamento governativo sia unidirezionale verso Nord (gran parte dei ministri e il presidente del Consiglio sono meridionali, ma ciò ha significato poco per il recupero di equità del Mezzogiorno) è confermato da dettagli pesanti e attuali, quali l’esclusione del Sud dall’assegnazione delle sedi per il Tribunale dei brevetti, Tub, e per l’Istituto dell’intelligenza artificiale.

Con i soldi di tutti gli italiani fu donato a Genova l’Istituto Italiano di Tecnologia (la cui qualità e quantità di ricerca, secondo lo studio del Roars, è circa un terzo di quella del Politecnico di Bari, per ogni 100mila euro di spesa) che gode di tali finanziamenti pubblici, da permettersi di accumularli in banca; con i soldi di tutti gli italiani, il Centro ricerche Human Technopole, che da solo riceve più soldi pubblici della ricerca nazionale, è stato donato a Milano pigliatutto (Expo, Olimpiadi invernali fra le innevate valli di piazza San Babila, ora il Tub e domani, magari, la Coppa America fra navigli e Idroscalo).

Il Sud sempre escluso, nonostante Catania, con perno l’università, sia la Silicon Valley italiana; e l’università di Arcavacata, in Calabria, con il Dipartimento di Matematica applicata all’Informatica del professor Gianluigi Greco, vanti le migliori performances d’Europa, tanto da far approdare nel Cosentino le maggiori aziende internazionali del settore, che assumono centinaia di laureati ogni anno. Ad Arcavacata ha voluto trasferirsi l’astrofisica Sandra Savaglio, che negli Stati Uniti finì sulla copertina di Time, come prova della capacità degli Usa di rubare cervelli al resto del mondo.

Quale segnale di resipiscenza e volontà di riequilibrio, il Governo si impegni a deliberare nel primo Consiglio dei ministri un progetto-quadro per ristabilire l’equità tra i giovani dei diversi territori, con la costituzione dell’Istituto Italiano per le Tecnologie Blockchain “Pitagora”, con sede in Calabria (dove operò il grande matematico, come sa ogni bambino di ogni era e continente), in vista dell’omologa Agenzia che potrà essere varata in virtù della consultazione del Ministero dell’economia su “Proposte per la Strategia italiana in materia di tecnologie basate su registri condivisi e Blockchain”.

Un Istituto che metta in rete le eccellenze delle regioni meridionali, con un finanziamento statale annuale da storicizzare e quantificabile in almeno 500 milioni annuali, e coinvolga laboratori, centri di ricerca e aziende gravitanti intorno a Università meridionali che si sono già contraddistinte in tutto il mondo per qualità della ricerca e del trasferimento tecnologico su Blockchain, IA, IOT, Big Data, DeFi e CS e tecnologie correlate emergenti.

Ci si riferisce in particolare alle università della Calabria, di Salerno, di Catania, al Politecnico di Bari e altre, pur tra le piccole, del Mezzogiorno (alcune delle quali hanno compiuto notevoli scalate nelle classifiche mondiali di eccellenza).

Nelle aree di pertinenza di questi atenei si sono già concentrati insediamenti produttivi e aziende di livello internazionale specializzate nelle nuove frontiere tecnologiche (come il primo centro di sviluppo per app in Europa aperto dalla Apple, a Napoli o la NTT Data, a Cosenza), per l’alta qualità delle strutture accademiche, in particolare nelle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematic), che non solo offrono lavoro a tanti giovani meridionali, ma riescono ad attrarre eccellenze provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo.

Si riuscirebbero, così, a trattenere al Sud almeno i primi 5.000 laureati che, in caso contrario, sarebbero costretti a emigrare al Nord o in altri paesi.

L’Italia non finisce in Val Padana.

Pino Aprile, presidente del Movimento 24 agosto per l’Equità Territoriale