Giornalismo d’invettiva subliminale

CORONAVIRUS IN PADANIA, UN SUGGERIMENTO A GILETTI

di Mauro Sasso del Verme*
Nella trasmissione Non è L’arena del presentatore Giletti, viene mandata in onda una vergognosa immagine del Vesuvio che erutta coronavirus.
La scena suscita subito uno sdegno generale, soprattutto sui social che rappresentano l’unico luogo dove è ancora possibile leggere pensieri liberi e autentici contro le fandonie e le vergognose discriminazioni quotidiane rappresentate dai media. La trasmissione si é difesa sostenendo che “l’idea” di utilizzare il Vesuvio aveva come unico intento quello di far capire che il virus è pericoloso come la lava di un vulcano, e pertanto chi gioca a tirare in ballo il razzismo è fuori strada”. Inoltre ha aggiunto, “Non è l’Arena sta facendo un lavoro di inchiesta importante sulle criticità in Campania e tutto questo non può essere oggetto di fraintendimenti… a volte strumentali… forse per spostare il focus del problema…della nostra inchiesta”.
A questo punto non possiamo non suggerire al padano Giletti che prima di guardare in casa d’altri è doveroso farlo in casa propria e quindi se c’è da fare un’inchiesta la faccia in padania dove il coronavirus ha mietuto migliaia di vittime anche a causa di una gestione carente e fallimentare della sanità. Nell’inchiesta che siamo sicuri non è l’arena condurrà sulle criticità della sanità padana e sulle sofferenze di migliaia di cittadini, ci permettiamo di suggerire l’immagine sovrastante per introdurre l’argomento, con la precisazione che l’accostamento del coronavirus con il fiume Po è fatto con l’intento di far capire che il virus è pericoloso come un fiume in piena. Siamo sicuri che nessuno fraintenderà l’accostamento magari strumentalmente per spostare il focus dalla vostra inchiesta sulla sanità padana che siamo sicuri sarà implacabile e imparziale come per la Campania, la Calabria e il sud in generale.
*Referente circolo Napoli Partenope M24A Equità Territoriale




Il Buon Federalismo attuabile

Il federalismo e’ una forma governativa mirabile ma che deve essere immune dalle storture che odiernamente l’accompagnano, in ogni parte del mondo in cui viene praticato.

Il buon management nel caso del federalismo, farebbe in modo da adempiere agli obblighi costituzionali di garantire a tutti, dei diritti che non devono essere appannaggio delle persone facoltose o di quelle con un adeguato tasso di istruzione e di liquidita’ finanziaria. Il federalismo fiscale su cui si dibatte di questi tempi in Italia, dovrebbe accompagnarsi ad una forma giuridica prescrittrice nell’ambito dei prodotti locali acquistabili. Perche’ apodittico e’ il fatto che la penuria di infrastrutture nelle lande piu’ disagiate dell’Italia, derivano anche dalla minore capacita’ di spesa di tali territori, dovuta al minore introito dall’iva a sua volta cagionato dalla penuria di aziende con sede fiscale in quelle lande apparentemente desolate. Siccome la stortura democratica relativa all’iva e binaria alla mancanza di infrastrutture nei posti meridionali d’Italia, consiste nel pagamento dell’Iva sui prodotti a favore delle sedi fiscali generalmente al nord, delle aziende che producono suddetti prodotti, lapalissiano e’ il dovere di bilanciare tale situazione svantaggiosa e iniqua in due modi: impedire la vendita di prodotti cui l’iva pagata sfocia nei posti piu’ ricchi e dotati di infrastrutture, o bilanciare le vendite di prodotti locali con iva pagata nei posti in cui si vendono, alle vendite di prodotti extralocali. L’alternativa, ben piu’ lunga e profittevole sarebbe dotare i posti meno agiati in Italia, di infrastrutture e servizi alla stregua di quelli settentrionali che usufruiscono dell’Iva pagata dai territori desolati o meno agiati. Ma quest’ultima ipotesi oltre ad essere lunga e’ estremamente dispendiosa e perigliosa, per i territori sedicenti produttori e che si scagliano contro l’obbligo di pagare l’Iva a favore dei territori meno agiati e scarsamente dotati di servizi e infrastrutture adeguati. Si evince ad ogni modo l’obbligatorieta’ manageriale di non aumentare le imposte per i territori produttori ma al contempo di imporre forme di protezionismo parziale territoriale a suffragare l’autoproduzione e le infrastrutture. Fermo restando che il federalismo e’ la migliore vestigia governativa non solo per l’Italia, ma per l’intera Europa.




Alitalia tra le ultime aziende a fare le veci dello Stato

Va svelato una volte per tutte l’arcano di Alitalia: essa e’ ovvero privata anziche’ pubblica, nonche’ da sempre e tutt’ora sul podio delle compagnie aeree migliori al mondo; Alitalia possiede record recenti come compagnia in cui si desina meglio, compagnia piu’ puntuale e piu’ sicura in assoluto; inoltre Alitalia ha un costo del lavoro meno alto rispetto alle concorrenti blasonate, ed un numero di occupati inferiore in confronte alle principali aziende aeree. Ancora Alitalia da lavoro a venticinquemila persone per cui e’ un volano di crescita nazionale mastodontico, senza contare che possiede, Alitalia, il logo egemone al mondo come riconoscibilita’ tra le aziende aeree. Il logo Alitalia e’ il secondo logo italiano identificato con l’Italia, per il mondo, subito dopo il cavallino rampante della Ferrari. L’Alitalia a trazione pubblica guadagnava 5 miliardi a fronte di soli 70 milioni di perdite, omogeneamente alle multinazionali piu’ salubri. In piu’ Alitalia assicurava trasporto forestiero verso l’Italia, decidendo in totale autonomia le rotte da coprire sul piano mondiale in vantaggio dei luoghi e imprese nazionali.

La gestione privata di Alitalia invece, ha dimezzato i guadagni e ventuplicato le perdite, reciso i posti di lavoro assieme alla flotta ed alle rotte, senza omettere aver perpetrato due bancorotte fraudolente alla principale azienda meridionale di nome sempre Alitalia. Cio’ che ingolfa la mirabile compagnia di bandiera italiana, in effetti, risultano i costi gonfiati dell’indotto che vi gravita, a partire dagli affitti degli hub e la ristorazione, senza alludere alle tasse di volo ed ai contratti enfatizzati per la manutenzione. Tasse di volo che obbligano Alitalia a sorvolare la Croazia dai prezzi accessibili, per giungere a Trieste. Alle compagnie meno importanti, invece, le tasse di volo, di manutenzione, ristorazione, soggiorno vengono ridotte considerevolmente per mezzo anche della pratica del “comarketing”, in cui si pubblicizzano i nomi dei gestori con cui ci si accorda, sui velivoli e similari. I contratti di questo tipo facilitato pero’, non sono pubblici e sovente desecretati per cui urge rinazionalizzare Alitalia, che di fatto e’ una delle poche aziende italiane a strapagare, facendo le veci dello Stato obbligato da cricche privatistiche a non sussidiare la popolazione.

L’ultimo bilancio in utile di Alitalia risale al 2002, epoca della gestione di un direttore apolitico ed ipercompetente, che aveva fatto la gavetta in Alitalia, pertanto sapeva dove mettere le mani. Riportare l’Alitalia in attivo e sotto l’egida pubblica deve essere semplice con l’ingaggio di dirigenti espertissimi interni ad essa e periti come Moretti per Trenitalia e Marchionne per Fiat. Aziende, queste ultime, in attivo grazie ad investimenti e tagli di inefficienze. Riguardo Fiat e’ eclatante quanto essa, a differenza della vituperata e misconosciuta Alitalia, non riesca da decenni a trovare un logo identificativo ed efficace, ad onta degli innumerevoli investimenti che fa a causa di cio’.

Il mercato aereo italiano continua ad essere vigoroso per la presenza di sessanta milioni di residenti, cinque milioni di residenti all’estero, sessanta milioni di italiani sparsi per il mondo e la dovizia di turisti e fedeli al Vaticano. Il mercato aereo italiano, anche se in stallo causa del covid, e’ destinato a crescere; l’aereo ha un vantaggio sequipedale rispetto alle altre infrastrutture e mezzi di trasporto, ossia essere un connubio di infrastruttura e trasporto, per cui estremamente economico.

Siccome l’Italia presenta colossali asimmetrie di infrastrutture tra nord e sud, al punto che Trieste-Palermo in treno e’ impossibile da fare, Alitalia risulta l’unico strumento attuale per lo sviluppo meridionale a priori, ed in seguito italiano.




Mistificazioni sulla Calabria e le mosse farsa del governo

BOCCIA LAQUALUNQUE VA IN CALABRIA E DICE: «NULLA CAMBIERÀ!». LE DICHIARAZIONI DEL MINISTRO DOPO LA CONFERENZA STATO-REGIONI SONO DEGNE DELLA PRIMA REPUBBLICA.

di Antonio Picariello*
Udite, udite: il governo è vicino alla Calabria. Ci sono volute un’alluvione e la scoperta di incapaci da 10 anni alla guida della sanità calabrese per far staccare il ministro Boccia dalla sua poltrona, sulla quale sarebbe rimasto molto volentieri. Esponenti della prima repubblica non avrebbero fatto meglio. Ci si ricorda degli ultimi solo quando si arriva al peggio e, nel caso specifico, il peggio sarebbe stato non racimolare un solo voto alle prossime regionali in Calabria. E allora Boccia ha osato, organizzando addirittura la conferenza stato regioni a Catanzaro. Dare un segnale forte: veniamo ad ingannarvi a casa vostra perché su queste tematiche state pur sicuri, per dirla con Boccia, che il governo c’è.

Il governo c’è sull’emergenza sanitaria alla quale esso stesso ha contribuito attraverso 10 anni di commissariamento, malaffare e fatture milionarie pagate due o tre volte. Il governo c’è se si tratta di organizzare l’esodo sanitario verso nord, ma non c’è quando il nord presenta il conto da pagare ai calabresi; c’è se occorre inviare forze armate, forze dell’ordine e volontari, ma non c’è se occorre definire il riequilibrio nazionale dei fondi per la sanità, i LEP e dare un calcio nei fondelli a chi si sente in diritto di predicare l’autonomia differenziata solo perché ha fatto un referendum consultivo. Il governo c’è se si tratta di dichiarare che la Calabria merita una sanità più forte, ma resta drammaticamente assente se si tratta di rafforzare le strutture che sono state ridimensionate o riaprire quelle chiuse e in disuso; c’è se bisogna stanziare un miliardo di euro per il porto di Genova o per risarcire i danni di Venezia, ma mostra le tasche vuote se si tratta di aiutare Crotone o di cacciare un euro per Gioia Tauro (e neanche quello!).

Insomma il governo c’è, ma se si tratta di Calabria e più in generale di Sud, allora è sempre impegnato da un’altra parte. E se l’Europa, come il ministro afferma, ha preso atto che i diritti universali come salute e scuola non potranno mai più essere compromessi da vincoli di bilancio, l’unico a non averne preso atto resta ancora Boccia (e i suoi colleghi).
La Calabria e tutto il Sud sono le vittime sacrificate sull’altare del ridimensionamento di un bilancio (che si chiama spesa storica) sempre più sbilanciato a nord il cui malaffare passa in sordina sotto il naso dei premier di turno abituati a sorvolare sulle travi di scandali e ruberie lombarde e ad essere intransigenti con le pagliuzze calabresi in nome della legalità! Scandali e ruberie nel Sud derubato, efficienza e virtuosità nel nord ladro.

Boccia è venuto a chiedere l’aiuto dei calabresi per vigilare, per stare accanto alla magistratura e alle forze dell’ordine, al fine di poter intervenire, sostenere e aiutare la Calabria perbene. Ma il ministro è cosciente della sfiducia e della rabbiosa rassegnazione dei calabresi nei confronti di uno stato italiano che non è in grado di garantire i suoi funzionari sul territorio e chiede di farlo ai contribuenti che lo pagano per quello? Fin dove arriva il paradosso?

Fino a Crotone, dove, osservando i danni dell’alluvione, Boccia ha esaltato lo spirito collaborativo delle protezioni civili di Calabria, Puglia, Campania e Basilicata che hanno fatto un lavoro eccezionale. Certo “Anche questa è l’Italia” signor ministro, ma quella del Sud dove abbiamo accolto pazienti da Bergamo mentre il Veneto rifiutava i lombardi! E questo spirito verrà definitivamente affossato dalla sua legge quadro! Non basta convocare per la prima volta una conferenza stato-regioni in Calabria per dimostrare la presenza di uno stato assente. Ma per lei Parigi val bene una messa!
*M24A ET – Campania

https://catanzaro.gazzettadelsud.it/video/politica/2020/11/23/conferenza-stato-regioni-in-calabria-boccia-il-governo-ce-i-cittadini-stiano-con-i-magistrati-97a0b3f1-8bae-46b1-b9c4-c05bd40e489c/




Whirpool complice della camorra. Di Maio si arrende alla multinazionale; la camorra assumera’ i nuovi disoccupati




L’Italia e’ napoletana

Da uno degli innumereboli annunci contro Napolo non si ravvisa un mero razzismo territoriale bensi’ un istinto emarginatore alimentato dall’ignoranza che non accetta le proprie origini. Il punto da rimarcare a questo punto, deriva dal fatto che l’Italia non ha solo inglobato il suo meridione con una violenta annessione e depauperazione, ma e’ nata al sud, precisamente a Napoli quale prima citta’ di maggiore importanza, prima che fu fondata Roma. E per una nazione importante come l’Italia, negare le proprie origini diventa deleterio se non letale, giacche’ l’accento italiano deve essere il connubio di tanti accenti eterogenei che abbiamo in comune un’unica principale cosa, ossia la condivisione dell’opulenza linguistica italiana, che prevede un vocabolo specifico e divergente per ogni cosa, dopo di che’ l’accento diventa pleonastico sulla falsa riga del primato del contenuto rispetto al contenente.

Infine riguardo al diniego nell’immagine in questione di qualche anno fa, sull’offerta di lavoro a personale con accento campano, va ben costatato che, se da una parte la salvifica unita’ d’Italia va plasmata sullo studio e condivisione della complessita’ della sua lingua a prescindere dagli accenti, il sostrato del napoletano dovrebbe essere annesso ad ogni italiano per un motivo: l’internazionalismo e l’ospitalita’, nonche’ l’umanita’ napoletana celata nel suo accento, si coniugano anche con lo spiccato senso di forte difesa identitaria dalle tendenze esogene, che tentano di scardinare la famiglia, l’amicizia, il lavoro, la lingua e la ontologia dell’Italia intera, ma nella Napoli siddetta folkloristica e bistrattata cio’ non e’ riuscito, a differenza del settentrione globalizzato e colonizzato dalle potenze barbare atlantiche; le quali hanno avuto l’ardire di definire barbari gli italiani rei di difformita’ verso i modi di schiavizzare e depauperare il prossimo, tipici delle potenze atlantiche col debito pubblico ed il risparmio privato piu’ basso dell’Italia barbara… si percepisce il non senso nonche’ dove sta occultata la vera barbarie?




Nuove diffamazioni su Napoli dal gotha dei media e dell’intellighenzia settentrionali

I morti in ospedale sono una triste questione inerente non solo Napoli, ma l’Italia in modo trasversale, partita dai tagli scientifici alla spesa pubblica italiana, ma con una peculiare focalizzazione sulla sanita’.

Da qui la iattura che riempire i posti letto e’ divenuto molto piu’ facile alla luce del dimezzamento ed oltre dei posti letto, a fronte della mancata decrescita italiana, di meta’ popolazione.

La privatizzazione delle multinazionali di stato italiane di ogni genere, ha decretato una traslazione della sanita’ verso strutture private incipienti con al centro il guadagno piuttosto che il benessere comune. A causa sempre della privatizzazione delle scelte politiche in favore di soggetto finanziariamente sesquipedali e della privatizzazione della finanza, delle banche e della medesima banca d’Italia, si e’ installata in tutta l’Italia la logica dei tagli alla spesa pubblica per efficientare l’apparato statale.

I morti in ospedale, accampati i sale sempre piu’ ristrette e con personale sempre sottopagato per cui in diminuzione, sono il lascito di privatizzazioni indiscriminate e penuria economica da incapacita’ di emissione monetaria. Cosi’ la classe giornalistica connivente con il potere privatistico, omette io dato centrale che scagiona Napoli nell’incapacita’ di garantire adeguati servizi pubblici, e omette, Feltri e compagnia cantante, di dichiarare la similitudine fra tutte le realta’ metropolitane italiane, Milano e Napoli comprese, nell’apportare servizi pubblici eccellenti se gratuiti, nell’impossibilita’ di evitare decessi ovunque, con strutture ospedaliere piene: sono tutti effetti delle prescrizioni europee, queste, teleologiche alle privatizzazioni crescenti di tutto cio’ che e’ pubblico, alla cesura della spesa pubblica, allo stupro della Costituzione italiana.

In un regime di spesa pubblica decente, pur in presenza di covid come oggi, gli ospedali non sarebbero alla stessa stregua della Svezia, in quanto personale e strutture sanitarie basterebbero a contenere l’allarme popolare forti della loro capillare distribuzione. Oggi nonostante cio’, non c’e’ in Italia il pericolo di pronti soccorsi impossibilati a ricevere nuovi ammalati da Covid 19.




Le Fake news su Covid a Napoli di Giletti

COVID IN CAMPANIA, LA REGIONE QUERELA LA TRASMISSIONE DI GILETTI: «TROPPE FALSITÀ»
L’Unità di crisi della Regione Campania contro la trasmissione «Non è l’arena» condotta da Massimo Giletti. Così si legge in una nota regionale: «Nel corso di una trasmissione televisiva di una rete nazionale andata in onda ieri sera, si è consumato un ulteriore atto di sciacallaggio mediatico. L’Unità di Crisi ha rilevato i seguenti dati completamente falsi, in relazione ai quali, è stato dato mandato all’Ufficio legale di sporgere denuncia.

—°—
1) Falso il numero di terapie intensive.
Il numero di 621 posti letto di terapia intensiva a cui si fa riferimento alla data del gennaio 2019, è
relativo al numero di posti letto programmati con Decreto Commissariale n. 103 del 2018 relativo al “Piano Regionale di programmazione della rete ospedaliera ai sensi del D.M. 70/2015”. Si trattava quindi di posti letto da realizzare e non “esistenti” come si è voluto far credere.
Infatti, come si è più volte ribadito la dotazione di posti letto di terapia intensiva era:

  • a febbraio 2020: posti letto di terapia intensiva 335
  • a novembre 2020: posti letto di terapia intensiva 656
    Si aggiunge che la previsione del piano del DCA è stata totalmente superata a luglio del 2020 con il nuovo piano di potenziamento dei posti letto di terapia intensiva e sub intensiva finanziato ai sensi del DL 34/2020 che prevede la realizzazione di 834 posti letto di terapia intensiva.
    Si ribadisce che ad oggi la Regione Campania ha pienamente funzionali 656 posti letto a supporto della intera rete ospedaliera COVID e NON COVID, che si sono già completati i lavori edili per circa altri 70 posti letto e che potranno essere attivati non appena sarà potenziata la dotazione di personale medico specialistico.
    E’ stato quindi realizzato e attuato più del 80% del piano di potenziamento di posti letto di terapia intensiva previsto con la DGR 378 a Luglio 2020.

2) False le cifre mostrate per la realizzazione dei posti letto.
Per la realizzazione dei nuovi posti letto, nessun rimborso è arrivato alla Regione che ha anticipato completamente le risorse dall’inizio dell’emergenza. Si precisa infatti che i 163 milioni di euro, relativi al finanziamento del piano di potenziamento dei posti letto di terapia intensiva e sub intensiva ex art. 2 del DL 34/2020 (cd. Piano del Commissario Arcuri), non sono mai arrivati nelle casse regionali.
Ciononostante, la regione Campania e le aziende sanitarie hanno anticipato con fondi propri per finanziare la realizzazione degli interventi per il potenziamento dei posti letto ormai in stato avanzato di completamento.

3) False le notizie sul bollettino informativo.
Come già più volte ribadito, il bollettino della Regione Campania è un Bollettino COVID, ed è cosi costituito:

  • Posti letto di terapia intensiva disponibili: 656, ovvero il complessivo dei posti letto di terapia intensiva disponibili per la rete ospedaliera COVID e NON COVID (tra questi la rete della emergenza urgenza) ed è implementato ogni qualvolta che si attiva un posto letto dotato di personale, sulla base dell’avanzamento dei lavori e delle attrezzature pervenute dal Commissario.
    -Posti letto di terapia intensiva occupati Covid: il numero è variabile giornalmente e fa riferimento ai posti letto occupati dai pazienti Covid nella giornata.
    L’occupazione dei posti, la loro disponibilità , il nuovo utilizzo viene giornalmente definito dalle aziende sulla base della esigenza e sulle urgenze che si manifestano.

4) Falsi i dati sugli ospedali modulari
Si parla di un Ospedale modulare a MADDALONI che non esiste
L’ospedale modulare a CASERTA è attivo e ad oggi ha in utilizzo 14 Posti letto
L’ospedale modulare a SALERNO è attivo e ad oggi ha in utilizzo 8 Posti letto
L’ospedale modulare a NAPOLI è attivo e ad oggi ha in utilizzo 32 Posti letto
Tutti gli ospedali “modulari” contano 120 posti, tutti pronti e disponibili. Non c’è al momento una emergenza terapie intensive in Campania.

5) False le cifre (citati 246 milioni) sulle risorse arrivate in Campania
Dall’inizio dell’emergenza, con i provvedimenti DL 14, poi assorbito dal DL 18, e poi con il DL 34, la Regione ha ricevuto: 131 milioni per le diverse linee di azione previste dai DDLL 14 e 18 (assunzione di personale; specializzandi; prestazioni aggiuntive; lavoro straordinario; integrazione del budgt strutture private). La Regione ha distribuito alle aziende sanitarie tali risorse chiedendo apposite rendicontazioni;

Rispetto invece a quanto previsto dal DL 34/2020, la Regione ha avuto 115 mln per le linee di azioni previste per l’assistenza territoriale (Usca; cure domiciliari; infermieri di comunità; etc.) e per gli incentivi e le altre assunzioni per l’attività ospedaliera; anche in questo caso, le aziende sanitarie hanno già anticipato in buona parte le relative spese che via via la regione sta provvedendo a ristorare. Per quanto riguarda, infine, le risorse previste dal DL 104/2020, ad oggi non è ancora stato accreditato nulla.

Link: … https://www.ilmattino.it/napoli/politica/coronavirus_regione_campania_querela_giletti-5589449.html




Sprechi del Nord e accuse al sud

IL PARTITO UNICO DEL NORD ALL’ATTACCO CONTRO IL SUD, ORA CON STEFANO FELTRI, DIRETTORE DEL NUOVO GIORNALE DI DE BENEDETTI “DOMANI”

di Raffaele Vescera*
Che il fronte antimeridionale coinvolgesse una fetta larghissima di rappresentati del sistema mediatico italiano, non è una novità. Ultimo ma non ultimo arrivato è Stefano Feltri, già vicedirettore del Fatto Quotidiano e ora direttore del nuovo giornale di Carlo De Benedetti “Domani”. Un domani negato al Sud, condannato da questi e altri a vivere nel passato di una rete ferroviaria a bassa o nulla velocità, pari a quella stradale, portuale e aeroportuale.

Secondo l’ineffabile Stefano Feltri, omonimo dell’infeltrito leghista Vittorio, ma non figlio se non nelle banali opinioni che, seppure non leghista, sciorina contro il Sud, le opere pubbliche al Sud non vanno fatte perché non ci sarebbe un vantaggio “costi benefici” e perché comunque le regioni meridionali a suo avviso “non potrebbero crescere”. Dunque il Feltri junior sostiene che non vanno fatte le linee ad Alta velocità, indispensabili alla crescita del Sud, Napoli –Reggio-Calabria- Messina- Palermo sulla dorsale tirrenica e Bologna- Lecce-Taranto su quella adriatica. Senza dire della Napoli – Bari, dove si viaggia come un secolo fa.

Poche parole per liquidarlo. Gli investimenti pubblici sono comunque rivolti a garantire parità di diritti a tutti i cittadini, diritto alla mobilità, alla salute, al lavoro e alla dignità, dimezzati al Sud. Secondo uno studio noto, i territori attraversati dall’alta velocità ferroviaria hanno una crescita dell’8% del Pil. Crescita garantita al Nord e negata al Sud dall’assenza, nel 2020, di una rete di trasporti degna di questo nome. Dunque la crescita ci sarebbe, eccome.

In quanto allo spreco che secondo Stefano Feltri rappresenterebbero gli investimenti in opere pubbliche al Sud, gli ricordiamo che l’Alta Velocità ferroviaria tra Milano e la sua Torino, progettata per veicolare 200 treni al giorno, ne vede correre dieci volte di meno. Ancora gli ricordiamo che, tra le due città del Nord campione di corruzione, è costata 67 milioni di Euro a Km, a fronte dei 10 milioni spesi nella vicina Francia per la stessa opera. In più, al giovane Feltri, nomen omen, ricordiamo i 12 miliardi di euro previsti per il tunnel AV in Val di Susa dove agiscono già 4 linee ferroviarie sottoutilizzate, e i 6 miliardi per il terzo valico AV Milano-Genova, appunto il terzo, poiché due ci sono già. Una nuova linea che farebbe guadagnare 15 minuti di percorrenza, quando per fare Bari-Reggio Calabria, 450 km, occorrono 12 ore. Senza dire di che succede in Basilicata a zero treni, in Calabria e Sicilia Trapani Siracusa 14 ore per fare 350 km.
E che dire dello spreco del Mose di Venezia altri 5 e rotti miliardi, e quello dell’autostrada Be-Bre-Mi, della pedemontana veneta e mille altri scandali made in Nord?

Ma che glielo diciamo a fare al partito degli affari del Nord, Franza o Spagna purché si magna.
*direttivo nazionale M24A-ET




Che infrastrutture per il Pil in aumento?

Collegamenti iperveloci, sotterranei magari, sfruttanti la tecnologia di ultima generazione, sarebbero un volano di creacita per le provincie italiane sempre piu’ spopolate, e binariamente per l’Italia.

Senza adulterare il paesaggio, romperne le fondamenta, deprivarlo della fauna e della flora per l’installazione di moltitudini di collegamenti veloci, si possono impiantare sistemi di intelligenza artificiale e realta’ aumentata al fine di rendere l’ipotetico tragitto sotterraneo tra provincie e tra citta’ comunque piacevole; infatti la sfida della contemporaneita’ e’ quella di rilanciare le periferia, i borghi, le province, in ottica di sviluppo demografico e sopratutto economico. Cosi’ disgregare l’obsolescenza per i giovani, esercitata dai piccoli borghi e la provincia oppure tra la periferie e tra citta’ e periferie, diviene propedeutica la strategia dello sviluppo dei trasporti oltre che dei servizi e di massimizzazione dell’agricoltura sostenibile e delle micro industrie in rete reciproca.

Creare collegamenti multipli e velocissimi sotterranei, in assonanza e coesistenza ai gia’ presenti collegamenti tra realta’ cittadine, sarebbe il prodromo di uno scambio di servizi, beni e aziende, atti a svincolare le metropoli dai desiderata della popolazione. L’importante, in merito a cio’, sarebbe la rete incrociata di approvvigionamenti, vendite e trasporti, oltre che di produzioni, al fine di rendere attrattive, vivibili e centrali per i giovani, le realta’ urbane di ogni stazza. Questo e’ il futuro della globalizzazione, senza finalita’ di omogenizzazione, bensi’ con l’intento di inclusione, rete, sostenibilita’ e sviluppo condiviso.